Istat, sono tre milioni i poveri assoluti
NEL 2010. Crescono le famiglie sotto la soglia minima di reddito . Otto milioni gli italiani che vivono con 990 euro al mese
Più in difficoltà i nuclei numerosi, gli anziani e il Sud, i lavoratori pagati poco o con bassa scolarità
Più in difficoltà i nuclei numerosi, gli anziani e il Sud, i lavoratori pagati poco o con bassa scolarità
ROMA
Novecentonovanta euro al mese per due persone. È così che vivono oltre 8 milioni di italiani, catalogati dall'Istat come «poveri».
Ma, a fronte di 8 milioni 272 mila persone in stato di povertà (il 13,8% dell'intera popolazione) nel 2010, il dato che allarma di più è quello che vede un milione 156 mila famiglie (il 4,6% delle famiglie residenti) in condizione di povertà assoluta, per un totale di 3 milioni e 129 mila persone (il 5,2% dell'intera popolazione): i più poveri tra i poveri. Si tratta di persone che non riescono ad arrivare alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile.
Sebbene il dato sulla povertà relativa risulti sostanzialmente stabile rispetto al 2009, peggiora la situazione delle famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9% al 29,9%), di quelle con membri aggregati (dal 18,2% al 23%) e di monogenitori (dall'11,8% al 14,1%).
«C'è un peggioramento delle tradizionali forme di povertà che sono quelle delle famiglie di working poor, per esempio le famiglie operaie in cui lavora uno solo e ci sono i figli da mantenere», ha spiegato Linda Laura Sabatini, direttrice centrale Istat. Soffre «soprattutto il Sud, mentre c'è un miglioramento da parte degli anziani, dovuto a un fattore generazionale perché stanno arrivando anziani più istruiti e più protetti rispetto a quelli del passato».
Dal rapporto emerge che la povertà relativa aumenta nelle famiglie dove la persona di riferimento è lavoratore autonomo (dal 6,2% al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8% al 5,6%), a seguito del peggioramento osservato nel Mezzogiorno (dal 14,3% al 19,2% e dal 10,7% al 13,9% rispettivamente). Con persona di riferimento diplomata o laureata aumenta anche la povertà assoluta (dall'1,7% al 2,1%).
Ed è proprio nel Mezzogiorno che si trova la situazione più drammatica, dove l'incidenza di povertà relativa cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le famiglie con tre o più figli minori: la Lombardia e l'Emilia Romagna sono le regioni con i valori più bassi dell'incidenza di povertà, pari al 4% e al 4,5%, mentre in Basilicata è 28,3%.
Si conferma inoltre la forte associazione tra povertà, bassi livelli di istruzione, bassi profili professionali ed esclusione dal mercato del lavoro.
Peggiora, infine, la condizione delle famiglie di ritirati dal lavoro in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca lavoro, si tratta essenzialmente di coppie di anziani con un solo reddito da pensione, la cui quota aumenta dal 13,7% al 17,1% per la povertà relativa e dal 3,7% al 6,2% per quella assoluta.
Novecentonovanta euro al mese per due persone. È così che vivono oltre 8 milioni di italiani, catalogati dall'Istat come «poveri».
Ma, a fronte di 8 milioni 272 mila persone in stato di povertà (il 13,8% dell'intera popolazione) nel 2010, il dato che allarma di più è quello che vede un milione 156 mila famiglie (il 4,6% delle famiglie residenti) in condizione di povertà assoluta, per un totale di 3 milioni e 129 mila persone (il 5,2% dell'intera popolazione): i più poveri tra i poveri. Si tratta di persone che non riescono ad arrivare alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile.
Sebbene il dato sulla povertà relativa risulti sostanzialmente stabile rispetto al 2009, peggiora la situazione delle famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9% al 29,9%), di quelle con membri aggregati (dal 18,2% al 23%) e di monogenitori (dall'11,8% al 14,1%).
«C'è un peggioramento delle tradizionali forme di povertà che sono quelle delle famiglie di working poor, per esempio le famiglie operaie in cui lavora uno solo e ci sono i figli da mantenere», ha spiegato Linda Laura Sabatini, direttrice centrale Istat. Soffre «soprattutto il Sud, mentre c'è un miglioramento da parte degli anziani, dovuto a un fattore generazionale perché stanno arrivando anziani più istruiti e più protetti rispetto a quelli del passato».
Dal rapporto emerge che la povertà relativa aumenta nelle famiglie dove la persona di riferimento è lavoratore autonomo (dal 6,2% al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8% al 5,6%), a seguito del peggioramento osservato nel Mezzogiorno (dal 14,3% al 19,2% e dal 10,7% al 13,9% rispettivamente). Con persona di riferimento diplomata o laureata aumenta anche la povertà assoluta (dall'1,7% al 2,1%).
Ed è proprio nel Mezzogiorno che si trova la situazione più drammatica, dove l'incidenza di povertà relativa cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le famiglie con tre o più figli minori: la Lombardia e l'Emilia Romagna sono le regioni con i valori più bassi dell'incidenza di povertà, pari al 4% e al 4,5%, mentre in Basilicata è 28,3%.
Si conferma inoltre la forte associazione tra povertà, bassi livelli di istruzione, bassi profili professionali ed esclusione dal mercato del lavoro.
Peggiora, infine, la condizione delle famiglie di ritirati dal lavoro in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca lavoro, si tratta essenzialmente di coppie di anziani con un solo reddito da pensione, la cui quota aumenta dal 13,7% al 17,1% per la povertà relativa e dal 3,7% al 6,2% per quella assoluta.
Nessun commento:
Posta un commento