Ai fini dell’applicazione degli indici di capacità contributiva, rileva la disponibilità dei beni e il loro utilizzo a qualsiasi titolo, anche di fatto, da parte di terzi. Obiettivo della disciplina, infatti, è l’individuazione di fonti di reddito non dichiarate, anche se il contribuente è un disoccupato. È quanto ribadito dalla Cassazione, con la sentenza 12448 dell’8 giugno.
La fattispecie
Il reddito di un contribuente disoccupato, che per l’anno di imposta 1995 non ha presentato il modello di dichiarazione dei redditi, viene accertato in base al Dm 10 settembre 1992, applicando il redditometro con riferimento alle vetture concesse in uso a una società sulla base di un contratto di comodato.
Nonostante i giudici di secondo grado abbiano ritenuto che la condizione di disoccupato non consenta l’applicazione degli indici di capacità contributiva, di cui all’articolo 38 del Dpr 600/1973, l’Agenzia e la Cassazione non sono pervenute alle stesse conclusioni, soprattutto facendo riferimento alla disponibilità dei beni, anche se fatti utilizzare da terze persone. Per la Suprema corte, “Il D.M. 10 settembre 1992 individua la disponibilità dei beni indicati come indici e coefficienti presuntivi di capacità contributiva ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nella condizione di chi a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni”.
Considerazioni
Ancora una volta la Corte interviene in materia di redditometro e con riferimento alla disponibilità di autoveicoli.
Nella fattispecie sottoposta all’esame dei giudici di legittimità, l’ufficio ha utilizzato il redditometro per determinare sinteticamente il reddito del contribuente, sulla base del possesso di beni indicatori di capacità contributiva, quali, appunto, le autovetture (come previsto dai Dm 10 settembre 1992 e 19 novembre 1992).
E’ noto che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il Dpr 600/1973, articolo 38, comma 4, prevede (al primo periodo, nella diposizione vigente ratione temporis) che gli uffici finanziari, in base a elementi e circostanze di fatto certi, indicativi di capacità contributiva, possano “determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”.
L’articolo 38, infatti, reca la disciplina dell’accertamento sintetico, contemplandone due tipologie: la prima fondata sul cosiddetto “redditometro” (l’imponibile viene quantificato sulla base di appositi coefficienti individuati con il Dm 10 settembre 1992, aventi valore di presunzione legale relativa), e la seconda basata sulla “spesa patrimoniale” (si presume che alla capacità di spesa del contribuente, derivante ad esempio dall’acquisto di un determinato bene, corrisponda, al ricorrere di determinate circostanze, una capacità contributiva non dichiarata).
In particolare, per entrambe le tipologie, il meccanismo di calcolo del maggior reddito si articola in fasi chiaramente definite (ad esempio, individuazione degli elementi indicatori quali autovetture, abitazioni, collaboratori familiari, eccetera; assegnazione a ciascuno di essi di una “classe” quale conseguenza, per esempio, della potenza della cilindrata) e ha luogo in presenza di determinati presupposti (il reddito accertabile determinato in base agli elementi indicatori di capacità contributiva si deve discostare da quello dichiarato per almeno un quarto e tali scostamenti devono verificarsi per due o più periodi di imposta consecutivi).
Inoltre, è lo stesso legislatore a prevedere che la disponibilità dei beni (le auto, gli immobili e gli altri) elencati dai decreti ministeriali costituisce una presunzione di capacità contributiva da qualificare legale, ai sensi dell’articolo 2728 cc, perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente, al fatto (certo) di tale disponibilità, l’esistenza di una capacità contributiva (Cassazione, 2726/2011 e 1909/2007). Disponibilità che non viene meno per “chi a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni”, e quindi anche per il soggetto“intestatario che concede il bene in uso gratuito a terze persone”. Con la precisazione che“scopo della normativa è quello di individuare fonti di reddito non dichiarate, sicché la titolarità di un reddito da lavoro è certamente estranea alla logica dell’istituto …” (Cassazione, 12448/2011), anche perché il contribuente, come prova contraria, può dimostrare che il maggior reddito determinato sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (articolo 38, comma 6, Dpr 600/1973).
Diversamente, in mancanza di prova contraria, la disponibilità di determinati beni “… (e, quindi, non solo la proprietà dei medesimi, ma anche l’esborso, a vario titolo, di spese per il loro mantenimento) costituisce una presunzione di ‘capacità contributiva’. Ne consegue che i soli fatti-indice del possesso e/o dell’utilizzo di un autoveicolo … sono, di per sé, sufficienti a legittimare l’accertamento, senza che l’ufficio debba effettuare alcun riscontro di fatto o di merito …” (Cassazione, 14367/2007).
Nel caso in esame, quindi, appurato il possesso delle auto (beni-indice), il giudice d’appello non avrebbe dovuto privare tali elementi della capacità presuntiva che la legge ha inteso annettere alla loro disponibilità, ma avrebbe potuto soltanto valutare le prove contrarie offerte dal contribuente circa la provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta a imposta o perché esente) delle somme necessarie, ad esempio, per mantenere il possesso di tali beni (Cassazione, 16284/2007).
Ma ciò non è avvenuto, con la conseguenza che il thema decidendum non è stato circoscritto alla questione della sufficienza della prova offerta dal contribuente e volta a dimostrare che l’elemento posto dal fisco a base della presunzione di reddito non provava, invece, la maggiore capacità contributiva.
Né il contribuente è riuscito a fornire tale prova.
Come si è già verificato per l’auto, bene strumentale all’attività svolta da un agente di commercio: mancava la dimostrazione documentale della strumentalità del bene all’attività d’impresa esercitata, posto che l’articolo 2, comma 2, del Dm 10 settembre 1992, stabilisce che i beni indicatori di capacità contributiva non si considerano nella disponibilità della persona fisica se sono relativi esclusivamente ad attività di impresa o all’esercizio di arti o professioni e tale circostanza risulti da idonea documentazione (Cassazione, 9549/2011).
E anche per le auto di interesse storico o collezionistico: sarebbero state escluse dall’applicazione del redditometro, se la presunta gravosità delle spese di manutenzione e di sostituzione dei loro componenti soggetti a usura fosse stata superata dalla prova della loro inidoneità a soddisfare le esigenze della circolazione e dalla conseguente assenza di spese relative al loro utilizzo. E il collezionista, in tal modo, avrebbe forse visto annullare l’accertamento nonostante costituisca fatto notorio che tali auto formino oggetto di collezionismo e di particolare ricerca fra gli appassionati di tali beni, che esiste un particolare mercato per tali tipi di veicoli, oggetto di attenzione da parte dei suoi consumatori, e anche quotazioni rilevabili da pubblicazioni di settore (Cassazione, 1204/1997).
E neppure può considerarsi prova sufficiente a ridurre i maggiori importi dei beni previsti dai decreti ministeriali la quietanza attestante che il pagamento dell’assicurazione per l’auto è stato effettuato dal figlio della contribuente casalinga. La sola intestazione della quietanza, anche se corrispondente alla titolarità del contratto dell’assicurazione, ma non all’altrui disponibilità esclusiva del bene, provava solo il pagamento ma non l’effettiva “sopportazione” della spesa da parte del figlio con o senza la madre. Il disposto dell’articolo 3, comma 2, del Dm 10 settembre 1992 (“ciascuno di detti importi è proporzionalmente ridotto se il contribuente dimostra che per detto bene o servizio sopporta solo in parte le spese) “… deve essere inteso attribuendo valenza non alla situazione formale ma, giusta il pregnante significato del verbo ‘sopporta’, come prova concreta (‘se il contribuente dimostra’) dell’effettivo sostenimento solo parziale delle ‘spese’ proprie del bene o servizio disponibile considerato ai fini della rideterminazione del reddito…” (Cassazione, 11213/2011).
In conclusione, deve osservarsi che la disponibilità del bene prescinde sia dalla sua effettiva titolarità giuridica, sia dal titolo giuridico fonte della stessa disponibilità, rilevando piuttosto la concreta situazione fattuale e, cioè, il riscontro del potere del soggetto di trarre in proprio favore le utilità economiche che il bene, per sua natura, è in grado di fornire.
Di conseguenza, il contribuente disoccupato che risulta proprietario di automobili può, di sicuro, essere sottoposto ad accertamento sintetico, dal momento che tra gli indici e i coefficienti di capacità contributiva rientra la disponibilità di tali beni.
Tali principi in materia di onere della prova dovrebbero rimanere fermi anche per la nuova disciplina dell’accertamento sintetico, che troverà applicazione a decorrere dall’anno d’imposta 2009, a seguito delle modifiche apportate all’articolo 38, commi da 4 a 7, Dpr 600/1973, dal decreto legge 78/2010.
Il nuovo testo dell’articolo 38 (la prova contraria può consistere nel fatto che il finanziamento della spesa, o la capacità contributiva desunta dal “redditometro”, derivano da redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta; da redditi esenti; da redditi soggetti a imposizione alla fonte a titolo d’imposta; da redditi comunque legalmente esclusi dalla base imponibile) ha una portata più ampia del precedente (la prova contraria era circoscritta alla dimostrazione circa il possesso di redditi esenti o assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta), ma l’onere della prova contraria resta sempre a carico del contribuente.