mercoledì 29 maggio 2013

LAVORARE PER VIVERE


L’aspetto esistenziale di un disoccupato riflette tutte le sue ansie, le paure cumulate nel tempo dell’attesa, spesso infinita e scoraggiante. Tutto questo consente il “dissesto” morale della persona, la quale (esasperata) non riesce più ad attingere dalle poche energie mentali rimaste. E allora tutto si tramuta in inferno, depressione. Un macigno staziona in loro, come un groppo alla gola che non svanisce. Cominciano a mettersi in discussione i pilastri stessi della vita. Se a quanto detto aggiungiamo la mancanza di una prospettiva la frittata è fatta. Un futuro senza certezze, e soprattutto, senza pensione. Quanti precari versano i contributi previdenziali per poi trovarsi con un pugno di mosche in mano? Quante persone finanziano le pensioni a coloro i quali hanno un lavoro a tempo indeterminato? Provate per un attimo a rispondere a queste domande. E allora appare ovvio come molti di noi dovranno lavorare fino all’ultimo giorno di vita. “Lavorare per vivere” e non “vivere per lavorare”: questo il mio motto. Ed invece ci troveremo a dovere vivere per lavorare! E’ questa la realtà. Senza sapere fino a quando, senza avere alcuna garanzia, senza nessuna prospettiva per molti giovani di poter realizzare il sogno di una vita: la famiglia. L’assegno sociale, mesi or sono, stava per essere messo in discussione sia alla Camera quanto al Senato, ma per quanto tempo lo Stato lo renderà ancora disponibile? Temo ancora per qualche decennio, forse per qualche anno. Come vedete gli interrogativi sono tanti, e le poche risposte possibili sono esclusivamente contenute nel futuro. Proporrei di restituire i contributi previdenziali insufficienti al raggiungimento di un minimo di pensione, cumulati nel tempo, versati durante prestazioni occasionali o a tempo determinato, ai legittimi possessori, in modo da poterli aiutare nel proprio sostentamento. Tanti sono i casi in cui gli esodati, per esempio, si ritrovano con 15, 20, 25 anni di contributi versati senza poter accedere alla pensione minima. Qualcuno di loro provvede all’integrazione con versamenti volontari, il più delle volte costosi e dispendiosi. Costoro, per assurdo devono ritenersi fortunati, in quanto un minimo di reddito da lavoro dipendente lo hanno raggranellato. Sta di fatto che: disoccupati, inoccupati, esodati, inabili al lavoro, vengono accomunati dal medesimo destino, quello di avere enormi difficoltà, non solo sul piano della prospettiva, sul piano occupazionale, ma sul piano familiare e sociale. Ci sono intere famiglie sul lastrico. I poveri aumentano, le risorse calano, e contemporaneamente la rabbia cresce, così come gli omicidi ed i reati, per non parlare dei suicidi. La depressione è un rischio fondato. Essa non va sottovalutata ma affrontata seriamente dalle istituzioni.


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