Il Pil, dato dall’insieme di beni
e servizi prodotto da un Paese in un determinato periodo rappresenta lo stato
di salute di un territorio. Economisti qualificati sostengono che il lavoro non
sia in stretta correlazione con la variazione periodica dello stesso. Cioè,
dichiarano, al contrario, che se il PIL cresce aumenta la disoccupazione e
viceversa. Tale affermazione può essere opinabile, anche se esistono tratti di
verità. Negli anni ottanta l’Italia era in buona salute, ancora prima negli
anni settanta. Il benessere si tastava con mano, e la disoccupazione si
attestava su valori accettabili, ovvero tra il 6-7%. In tale periodo la forbice
disoccupazione-PIL non era ampia. Oggi assistiamo ad una costante decrescita
del PIL e ad un aumento costante della disoccupazione. Negli ultimi cinque anni
la disoccupazione è quasi raddoppiata, passando dal 7 al 12,5% (dati riferiti
al mese di marzo 2013). Gli ultimi dati ufficiali parlano di una decrescita del
PIL pari allo 0,5%, con una proiezione annua pari al 2,3% di PIL negativo
previsto per l’anno 2013. Valori nettamente contrastanti con le previsioni
degli economisti più accreditati. Da questo quadro si intuisce come l’Italia,
che non registra una crescita da 7 mesi consecutivi, sia sull’orlo del baratro.
I consumi si sono ridotti drasticamente, così come le esportazioni che, solo
negli ultimi mesi, registrano un minimo di ripresa. L’uso del petrolio è
diminuito drasticamente, così come il comparto delle telecomunicazioni che
registra una flessione significativa soprattutto nella vendita dei cellulari.
Le proiezioni sul 2014, periodo in cui si prevede una ripresa, a seguito degli
ultimi dati si mettono, quindi, in discussione. La flessione sul PIL si
registra anche in Germania (quinto Paese al mondo per volume di PIL), la quale
segna il passo con una crescita, nel primo trimestre 2013, pari soltanto allo
0,1%. Ciò comporta, da parte delle Merkel, una rivisitazione delle strategie di
politica economica internazionale. La politica del rigore non paga più. La
Germania, vive anche di esportazioni e non credo sia suo interesse non trovare più
Paesi che acquistino i prodotti tedeschi. L’effetto sarebbe devastante. La
produzione industriale calerebbe drasticamente, oppure l’invenduto
costringerebbe le industrie a tagliare sul personale. A mio avviso, quindi, per
ridare slancio alle economie europee, occorrerebbe non scendere a patti con l’apparato
finanziario, che detta le linee guida, bensì sarebbe necessario creare un nuovo
fabbisogno guardando all’economia reale. Per quanto concerne il lavoro, esso
andrebbe localizzato ed isolato dal potere centrale. Esso dovrebbe essere di
pertinenza esclusiva dei singoli comuni.