giovedì 16 maggio 2013

LA CRISI E IL PIL


Il Pil, dato dall’insieme di beni e servizi prodotto da un Paese in un determinato periodo rappresenta lo stato di salute di un territorio. Economisti qualificati sostengono che il lavoro non sia in stretta correlazione con la variazione periodica dello stesso. Cioè, dichiarano, al contrario, che se il PIL cresce aumenta la disoccupazione e viceversa. Tale affermazione può essere opinabile, anche se esistono tratti di verità. Negli anni ottanta l’Italia era in buona salute, ancora prima negli anni settanta. Il benessere si tastava con mano, e la disoccupazione si attestava su valori accettabili, ovvero tra il 6-7%. In tale periodo la forbice disoccupazione-PIL non era ampia. Oggi assistiamo ad una costante decrescita del PIL e ad un aumento costante della disoccupazione. Negli ultimi cinque anni la disoccupazione è quasi raddoppiata, passando dal 7 al 12,5% (dati riferiti al mese di marzo 2013). Gli ultimi dati ufficiali parlano di una decrescita del PIL pari allo 0,5%, con una proiezione annua pari al 2,3% di PIL negativo previsto per l’anno 2013. Valori nettamente contrastanti con le previsioni degli economisti più accreditati. Da questo quadro si intuisce come l’Italia, che non registra una crescita da 7 mesi consecutivi, sia sull’orlo del baratro. I consumi si sono ridotti drasticamente, così come le esportazioni che, solo negli ultimi mesi, registrano un minimo di ripresa. L’uso del petrolio è diminuito drasticamente, così come il comparto delle telecomunicazioni che registra una flessione significativa soprattutto nella vendita dei cellulari. Le proiezioni sul 2014, periodo in cui si prevede una ripresa, a seguito degli ultimi dati si mettono, quindi, in discussione. La flessione sul PIL si registra anche in Germania (quinto Paese al mondo per volume di PIL), la quale segna il passo con una crescita, nel primo trimestre 2013, pari soltanto allo 0,1%. Ciò comporta, da parte delle Merkel, una rivisitazione delle strategie di politica economica internazionale. La politica del rigore non paga più. La Germania, vive anche di esportazioni e non credo sia suo interesse non trovare più Paesi che acquistino i prodotti tedeschi. L’effetto sarebbe devastante. La produzione industriale calerebbe drasticamente, oppure l’invenduto costringerebbe le industrie a tagliare sul personale. A mio avviso, quindi, per ridare slancio alle economie europee, occorrerebbe non scendere a patti con l’apparato finanziario, che detta le linee guida, bensì sarebbe necessario creare un nuovo fabbisogno guardando all’economia reale. Per quanto concerne il lavoro, esso andrebbe localizzato ed isolato dal potere centrale. Esso dovrebbe essere di pertinenza esclusiva dei singoli comuni.


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