La più grande industria
siderurgia europea si trova davanti all’interrogativo più difficile della
storia: lavorare o tutelare la salute di migliaia e migliaia di persone? Una
contraddizione che troverà difficilmente una risposta attuabile in termini
pratici. Esistono due correnti di pensiero. La prima spinge per salvaguardare
il presente ed il futuro di circa 40 mila addetti, l’altra per impedire che
altre persone vengano afflitte da tumori. Probabilmente ambedue le correnti
hanno ragione nel sostenere la rispettiva causa. Il problema, però sta a monte.
Se chi di dovere avesse provveduto a tutelare la zona circostante, e quindi,
avesse preservato l’ambiente (ivi inclusi gli abitanti) per tempo tutto questo
non sarebbe accaduto. La mia non è affatto un’accusa, bensì una constatazione
su come siano andati i fatti. Le interpretazioni si prestano al gioco di pochi.
I fatti sono davanti agli occhi di tutti e quindi, in questo caso, purtroppo, la
cronaca prende piede. Neoplasie che si moltiplicano giorno dopo giorno; falde
acquifere contaminate, terreni che subiscono alterazioni e quant’altro. Allora
come venirne fuori? Il governo sa bene che non può gettare sul lastrico
migliaia di lavoratori e rispettive famiglie. C’è chi dibatte sulla chiusura
immediata dell’industria tarantina, chi invece sostiene il suo parziale
utilizzo, chi invece la vorrebbe a pieno regime. A mio avviso, ma è una
personalissima opinione, occorrerebbe bonificare dapprima l’area interessata
per poi predisporre una serie di misure atte a ridurre al minimo l’inquinamento
portandolo a livelli di guardia accettabili. Se l’attività industriale, ridotta
a regime minimo, rispettasse determinati parametri “salva ambiente” credo si
potrebbe continuare a rispettare le commesse; in caso contrario la si dovrebbe
tenere in stand bye. Anche perché i primi a chiedere un minimo di salvaguardia
sono proprio i lavoratori che hanno tutto l’interesse affinché i propri figli
possano crescere in un luogo sano, non malsano e pericoloso per la propria
salute. Nel contempo hanno, però la necessità di portare fieno in cascina, e
quindi, denaro senza il quale nessuno potrebbe sopravvivere. La questione è quindi, senza dubbio,
estremamente intricata. L’augurio mio e credo, di tutti gli italiani, è quello
di raggiungere entrambi gli obiettivi (lavoro e salute) per i quali spingono
ambientalisti, medici e lavoratori stessi, affinché la città di Taranto possa
tornare a crescere nel migliore dei modi, quale moderna città industriale che
guarda anche agli interessi sanitari di tutti i cittadini.
venerdì 31 maggio 2013
giovedì 30 maggio 2013
INIZIATIVE PER IL LAVORO
Giorni fa mi sono soffermato su
una proposta locale per l’attivazione di nuovi posti di lavoro in ambiti non
interessati dai dipendenti pubblici. Essa riguardava svariati campi: ristrutturazione
di palazzi in stato di abbandono e relativa riqualificazione, servizio civile,
pulizia di aree abbandonate, sfoltimento di erbacce, rimozione di murales, personale
addetto all’incremento turistico, eccetera. Tutte iniziative che potrebbero
occupare tanti ragazzi al fine di recuperare buona parte della città. Sono
sempre dell’avviso che la mancanza di lavoro sia rivolta principalmente nell’ambito
privato e non per esigenze pubbliche. Collocare una miriade di persone in questa
tipologia di settori consentirebbe di creare il cosiddetto “indotto”, e quindi,
il coinvolgimento anche dei privati. Per quel che riguarda i finanziamenti si
ricorrerebbe ad un piccolo contributo, con promessa però di restituzione
tramite decurtazione dalle tasse, da parte dei cittadini. Un euro mensile a
singola persona consentirebbe di cumulare centinaia di migliaia di euro da
intercalare in un fondo costituito, per esempio, dalla Cassa Depositi e Prestiti.
Inoltre, si potrebbero coinvolgere
capitali privati con la promessa di dividendi commisurati agli utili conseguiti,
senza però consentire a questi ultimi di poter decidere su eventuali tagli del
personale. Lo Stato centrale provvederebbe,
invece, all’affidamento temporaneo di buona parte del patrimonio andato in
disuso e al pagamento dei contributi
previdenziali. Si potrebbero, ad esempio, recuperare edifici, palestre, strutture
lasciate incomplete ed in totale stato di abbandono, per poi metterle in
vendita o darle in gestione a dei privati ad un prezzo di mercato. Gli introiti
derivanti servirebbero per finanziare il lavoro e per rimpinguare le casse
vuote dei comuni. La selezione degli addetti a questi lavori avverrebbe secondo
precisi criteri, quali: carico familiare, periodo di disoccupazione, età. Gli
esodati, richiederebbero invece un trattamento a parte. Potrebbero, per
esempio, secondo le proprie competenze impegnarsi nell’organizzare corsi di
formazione per i giovani apprendisti. Penso, ad esempio, all’edilizia. Il
criterio, per il loro impiego, potrebbe essere quello derivante dal periodo
mancante per il raggiungimento della pensione. Un criterio che sia, quindi, inversamente proporzionale al periodo da
sanare. Gli obiettivi finali raggiunti sarebbero essenzialmente tre:
impiego di giovani e meno giovani, una maggiore vivibilità della città ed,
infine, il recupero del Patrimonio Immobiliare. Avremmo così delle città che
sarebbero molto più appetibili dagli stranieri, con conseguente introduzione di
nuovi capitali. Per fare tutto ciò è chiaro come sia necessario riorganizzare l’intero
apparato pubblico, dandogli precise competenze, che non sconfinino con i
compiti dei neo assunti e viceversa. Ma soprattutto, occorre tanta buona
volontà da parte delle istituzioni e dei governi locali.
mercoledì 29 maggio 2013
LAVORARE PER VIVERE
L’aspetto esistenziale di un
disoccupato riflette tutte le sue ansie, le paure cumulate nel tempo dell’attesa,
spesso infinita e scoraggiante. Tutto questo consente il “dissesto” morale
della persona, la quale (esasperata) non riesce più ad attingere dalle poche
energie mentali rimaste. E allora tutto si tramuta in inferno, depressione. Un macigno staziona in loro, come un groppo alla gola che non svanisce. Cominciano a mettersi in discussione i pilastri stessi della vita. Se a quanto
detto aggiungiamo la mancanza di una prospettiva la frittata è fatta. Un futuro
senza certezze, e soprattutto, senza pensione. Quanti precari versano i
contributi previdenziali per poi trovarsi con un pugno di mosche in mano?
Quante persone finanziano le pensioni a coloro i quali hanno un lavoro a tempo
indeterminato? Provate per un attimo a rispondere a queste domande. E allora
appare ovvio come molti di noi dovranno lavorare fino all’ultimo giorno di
vita. “Lavorare per vivere” e non “vivere per lavorare”: questo il mio motto. Ed
invece ci troveremo a dovere vivere per lavorare! E’ questa la realtà. Senza
sapere fino a quando, senza avere alcuna garanzia, senza nessuna prospettiva
per molti giovani di poter realizzare il sogno di una vita: la famiglia. L’assegno
sociale, mesi or sono, stava per essere messo in discussione sia alla Camera
quanto al Senato, ma per quanto tempo lo Stato lo renderà ancora disponibile?
Temo ancora per qualche decennio, forse per qualche anno. Come vedete gli
interrogativi sono tanti, e le poche risposte possibili sono esclusivamente
contenute nel futuro. Proporrei di restituire
i contributi previdenziali insufficienti al raggiungimento di un minimo di
pensione, cumulati nel tempo, versati durante prestazioni occasionali o a tempo
determinato, ai legittimi possessori, in
modo da poterli aiutare nel proprio sostentamento. Tanti sono i casi in cui
gli esodati, per esempio, si ritrovano con 15, 20, 25 anni di contributi
versati senza poter accedere alla pensione minima. Qualcuno di loro provvede
all’integrazione con versamenti volontari, il più delle volte costosi e
dispendiosi. Costoro, per assurdo devono ritenersi fortunati, in quanto un
minimo di reddito da lavoro dipendente lo hanno raggranellato. Sta di fatto
che: disoccupati, inoccupati, esodati, inabili al lavoro, vengono accomunati
dal medesimo destino, quello di avere enormi difficoltà, non solo sul piano
della prospettiva, sul piano occupazionale, ma sul piano familiare e sociale.
Ci sono intere famiglie sul lastrico. I poveri aumentano, le risorse calano, e
contemporaneamente la rabbia cresce, così come gli omicidi ed i reati, per non
parlare dei suicidi. La depressione è un rischio fondato. Essa non va
sottovalutata ma affrontata seriamente dalle istituzioni.
martedì 28 maggio 2013
CONSIDERAZIONI SUL VOTO
lunedì 27 maggio 2013
MESSINA E GLI ANNOSI PROBLEMI
sabato 25 maggio 2013
TASSI DI DISOCCUPAZIONE AL MONDO (DATI AGGIORNATI)
La mappa rappresenta la densità
attuale di disoccupazione dell’intero pianeta. La Svizzera è il Paese che
registra il più basso tasso di disoccupazione al mondo: 3,1% nel mese di
aprile. Salta all’occhio come anche il continente australiano registri una bassa
percentuale di disoccupati. In aprile il tasso di disoccupazione è passato dal
5,6 al 5,5%. Un dato migliore rispetto alle attese, dal momento in cui gli
analisti stimavano un risultato invariato mensile. Il numero delle persone che
hanno ottenuto un nuovo lavoro è salito a quota 50.100 unità. Gli impiegati a
tempo pieno hanno registrato un incremento di 34.500 unità. Il Brasile, che nel
dicembre 2012 faceva segnare il dato più basso negli ultimi dieci anni, con un
tasso di disoccupazione pari al 4,8% ha registrato una flessione perdendo un
punto percentuale passando all’attuale 5,8% (dato aggiornato ad aprile 2013);
segno che il paese sudamericano sta attraversando un periodo di difficoltà.
Facendo degli studi ho notato come i paesi a bassa densità di popolazione siano
chiaramente favoriti, eccezion fatta per la Svizzera che registra una densità
di popolazione pari a 192,01 (dato fermo al 2012), in continua e costante ascesa.
Nonostante tutto abbassa o mantiene il tasso di disoccupazione. La cosa alquanto strana sta nel fatto che in
Germania (tasso di disoccupazione pari al 6,8% ‘marzo 2013’) la densità di
popolazione per chilometro quadrato abbia registrato una parabola discendente.
La flessione parte dal 2006 (230,86 ab km/q) per arrivare a quota 227,73
abitanti per km quadrato del 2012. L’Italia, al contrario della Germania che ha
segnato un vero e proprio tracollo, nel 2010 ha registrato una netta impennata della
densità di popolazione raggiungendo quota 203,3 (dato registrato al 2012).
Esistono delle analogie tra tutti questi dati? Per un verso non sembrano esservene, eccezion fatta per Germania e Italia. Sarà un
caso? Una cosa è certa, il Paese da cui trarre spunto è la Svizzera che, come
densità risulta essere molto vicina a quella dell’Italia.
venerdì 24 maggio 2013
I TAGLI
Tanti i propositi del governo:
Imu, Cassa Integrazione, occupazione per i giovani e giovanissimi, il
mantenimento dell’IVA al 21%. Tutte operazioni che richiedono lo stanziamento
di denaro pubblico. Ad impinguare le casse dello Stato i cosiddetti tagli alla
spesa. Regna, però, la confusione. Dove prendere tanti soldi? Occorrono circa
11 miliardi di euro per poter attuare quanto preventivato. La soluzione? Tagli
orizzontali sugli sprechi. E di denaro pubblico sprecato che si potrebbe
recuperare ve n’è tanto: dalle auto blu,
agli stipendi dei parlamentari, alle Province, alle liquidazioni, alle pensioni
d’oro, ai sostanziosi stipendi corrisposti ai Manager o a tutte quelle spese di
ordinaria amministrazione. Tagli da operare a tutte quelle regioni che non
siano virtuose e che abbiano una sanità malata (vedi le pensioni ai falsi
invalidi). Sembra facile vero? Il problema sta nel fatto che alcuni di questi
tagli si riflettono sui cittadini, i quali, non godrebbero più di alcuni
servizi fondamentali. Penso, per esempio, ai portatori di handicap o all’assistenza
agli anziani. Attenzione, quindi, a tagliare tutto ciò che rappresenti un
diritto sacrosanto dei cittadini, quali: i trasporti, l’istruzione e la sanità.
Anche perché, come al solito tutto ciò andrebbe a riflettersi sulle casse dei
comuni, avvinghiati tra Patto di Stabilità e tagli nazionali. Molte amministrazioni comunali sono già in
dissesto finanziario, altre ne sono vicine.
giovedì 23 maggio 2013
MANAGER E FIAT
Il lavoro consente il rispetto della dignità personale. Sentirsi utili alla società collaborando alla crescita è, aldilà dell’aspetto economico, qualcosa che riempie di orgoglio l’individuo. Oggi, si riesce ad individuare una nicchia “felice” nell'ambito del lavoro manageriale. Compensi per migliaia di euro, nonostante l’esito aziendale preventivato non si sia realizzato. Grosse responsabilità ricadono nei manager che non riescono a sviluppare un progetto redditizio con conseguente incremento dei dividenti. Si assiste allora ad una netta sperequazione tra lavoratori dipendenti e dirigenti. Un rapporto che, anticamente, era di 1 a 10, contro l’1 a 1000 degli ultimi anni. Occorre riequilibrare una situazione divenuta insostenibile. E’ uno schiaffo alla gente che lavora operosamente non avendo in cambio ciò che spetta loro. Appare evidente come una differenza così ampia sia ingiustificata, considerando anche che le grosse società tendono a smobilitarsi oppure a decentrare le proprie attività all’Estero. Ciò avviene principalmente per due ragioni: costo della manodopera più basso, ridotta imposizione fiscale. E’ freschissima la notizia riguardante la FIAT, la quale smobilita dall’Italia per trasferirsi a Londra. Un’operazione che sottrae alle casse dello Stato più di 500 milioni di introiti annui; proventi delle tasse. Lo Stato Inglese registra, invece, una pressione fiscale di gran lunga inferiore all’Italia, con la prospettiva di abbassare ulteriormente le tasse nei prossimi due o tre anni. Tutto ciò fa gola alla FIAT che ha deciso di sfruttare tale importante opportunità. Però l’azienda torinese ha usufruito per decenni dei finanziamenti pubblici chiudendo stabilimenti oppure ridimensionandoli notevolmente. Quindi, la più grande industria italiana, adesso ringrazia e saluta. Se lo Stato si fosse imposto in modo chiaro e categorico, così come ha fatto Obama negli USA, tutto ciò non si sarebbe verificato. Il presidente americano è stato chiaro: “se decentri l’industria portandola all’Estero io ti sottraggo i finanziamenti pubblici. Se licenzi operai americani ti sottraggo i finanziamenti pubblici.” Ha assunto, cioè, una chiara posizione. Stessa cosa dicasi nei confronti delle banche, alle quali ha “intimato” altre condizioni, a mio avviso, pienamente condivisibili. Sicuramente la forza di Obama è ben più importante rispetto ad una repubblica di tipo non presidenziale come quella italiana, ma ciò non toglie che si poteva e si doveva agire in modo ben diverso rispetto a come si è fatto fino ad oggi. Andavano dettate condizioni ineluttabili a Marchionne in modo da farlo ragionare nell’interesse del Paese, e quindi degli operai, e non delle proprie tasche.
QUANDO IL LAVORO NON C'E'
Ogni giorno mi cimento a guardare
le novità di cronaca. E quando leggo di persone che, purtroppo si tolgono la
vita, rimango sgomento; rimarrei sorpreso qualora non leggessi di queste
notizie. Mi chiedo per quanto tempo ancora dovrò leggere di giovani e anziani
che si tolgono la vita, senza però darmi una risposta. La crisi non bada a età,
ma fa coesione ed è solidale con tutti coloro i quali attraversano una profonda
crisi economica e morale, senza discriminazione di sorta. In questo panorama,
estremamente tragico, occorrere porre rimedio. Una ferita che sanguina senza l’opposizione
di alcun tampone è destinata a non guarire mai. Il lavoro non c’è, e questo
senza tema di smentita è un dato di fatto. E allora che facciamo? Ci
rassegniamo? La risposta è no. Se l’occupazione manca occorre creala. Internet,
ad esempio, rappresenta un calderone da cui poter attingere tutta una serie di
informazioni utili affinché si possa realizzare un progetto, piccolo o grande
che sia. Basti guardare a ciò che avviene negli USA e negli stati emergenti.
Idee che si mettono in moto attraverso: blog, canali di informazione, e colossi
quali You Tube. Quest’ultimo ha dato l’opportunità a molti giovani di crearsi
uno spazio ben definito, consentendo loro di applicare le proprie passioni e
conoscenze al servizio degli internauti. Per loro, maggiore visibilità,
maggiori introiti. Alcuni di loro hanno racimolato somme consistenti nel giro
di pochi mesi. Con internet, in effetti, sono nate nuove professioni e altre ne
nasceranno. Il fattore positivo da non sottovalutare, i bassi costi di
gestione. Per cui, con poche decine di euro si possono sviluppare anche
progetti importanti coinvolgendo il pubblico della rete. Nulla avviene per
caso: impegno, abnegazione, pazienza e determinazione sono elementi
fondamentali nella riuscita di un minimo di progettualità. Da evidenziare,
inoltre, come sia stata abbattuta la barriera della lingua. Grazie a strumenti
di traduzione, si può tranquillamente interagire nel mercato globale, accrescendo
conoscenze personali, accentuando un dinamismo comunicativo, accelerando le
possibilità e accorciando i tempi dell’interscambio culturale moderno. Si
possono creare forum collaborativi, in cui mettere in campo la propria
esperienza. Il piacere della sfida con se stessi e con gli altri non può
rimanere sopito. La combattività è importante, così come la capacità di
competizione del singolo. La grinta è l’arma migliore, così come la serietà che
si applica nel compiere una serie di operazioni mirate nel tempo. E allora
spazio alla fantasia, e in bocca al lupo.
martedì 21 maggio 2013
IL GOVERNO: L'IMU E IL LAVORO
Da decine di giorni si sente
parlare di provvedimenti governativi a favore del lavoro. La realtà dice che
non è affatto così. Trovare i soldi per rifinanziare la Cassa Integrazione in
deroga non equivale creare nuove opportunità. La questione è certamente di
rilievo, ma il governo pensa a tappare le falle che nel corso del tempo si sono
sempre più allargate. Centinaia di migliaia di cassaintegrati aspettano altre
risposte. Attendono di poter riprendere il percorso interrotto per via della
crisi. Ultimamente si discute su quali formule trovare per occupare almeno
centomila ragazzi sotto i ventisei anni. Come si intende agire in tal senso,
considerando che la mole di disoccupati si attesta intorno a tre milioni di
unità e che gran parte di essa è costituita da giovanissimi? Occorrono provvedimenti seri. Risulta evidente come il governo venga
polarizzato dagli interessi di uno schieramento politico, il PDL, tant’è che
non fa che parlare di IMU. Personalmente, bene accolgo le proposte che
riguardano la tassazione IMU rivolta alle prime abitazioni di lusso. Occorre, però, fare un distinguo secondo parametri precisi. Ci sono immobili con determinate
caratteristiche (pochi metri quadri, collocazione periferica, stabili
fatiscenti, ecc...) e ve ne sono altri che si differenziano per: collocazione
in centri storici, parecchi metri quadri, stabili moderni e/o ristrutturati,
ecc…). Bisogna infine guardare oltre non limitandosi a detti parametri, ma
unire agli stessi la condizione di tipo reddituale (singola e familiare), in
modo da avere un quadro completo della situazione e poter stabilire se tassare
o meno l’abitazione. Questi principi appaiono, a mio avviso equi. Per il lavoro il discorso
appare decisamente diverso. Una numero crescente di concetti e considerazioni
lo rendono sempre più complicato e complesso. Una serie di interessi di
bottega, di pensieri astratti e astrusi lo
appesantiscono piuttosto che semplificarlo. Teorie di macroeconomia
mastodontiche sono risultate fallimentari. Grandi economisti falliscono senza
venire a capo del problema. Sfaterei la frase che dice: “più mercato più
occupazione”. Inutile fare demagogia. Il problema non è il soddisfacimento del
mercato interno (nonostante la globalizzazione introduca in Italia prodotti più
economici), bensì quello di rendere competitivo l’export con l’utilizzo di
menti e manodopera al fine di competere con l’intero Globo. Il tema lavoro andrebbe
sciolto in una sintesi elementare e non estremamente intricata. Purtroppo, ad
ostacolare l’obiettivo di snellimento, le leggi, che rappresentano delle vere e
proprie maglie dove vengono imprigionate le idee di sviluppo e di crescita. La
burocrazia va modellata e anche di parecchio, affinché si costruisca un
apparato di norme che vada verso l’obiettivo delle assunzioni. Unico e solo
obiettivo affinché l’Italia esca davvero dalle secche in cui è oggi, più di
ieri, impelagata.
lunedì 20 maggio 2013
IL CONCETTO ETICO-MORALE ALLA BASE DELLA SOCIETA'
Ieri ho avuto modo di assistere
ad un piccolo dibattito tra alcuni dei candidati a sindaco di Messina. A
seguito di alcune domande ho avvertito un forte imbarazzo nel dare le risposte
da parte degli intervenuti. Alla domanda: “cosa intenderà fare per risolvere il
problema economico nel medio e lungo periodo?”, ho avvertito un certo imbarazzo
da parte del singolo interlocutore, dato da continue esitazioni, e da uno stato
di evidente insicurezza. Risposte aleatorie, vaghe, frammentarie. Molti
professionisti della politica, burocrati e quant’altro snobbano il concetto
etico, e a mio avviso sbagliano. Io alla domanda di cui sopra avrei risposto in
tal modo: “dare una obiettivo dal punto di vista etico-morale”. In questa città
non si è ancora compreso che una buona educazione data ai giovanissimi di oggi
è fondamentale per costruire il futuro economico dei prossimi venti anni.
Sostengo da moltissimo tempo come una buona istruzione (corredata da un modo di
vivere civile e non irrequieto dal punto di vista comportamentale) sia alla
base dell’economia di domani. A mio avviso la società del prossimo futuro, va
quindi costruita sull’etica e spiego il perché.
Provate, per esempio, a immaginare la città, piuttosto che essere abitata da
messinesi venisse popolata da tedeschi, quale sarebbe il risultato? Una città
funzionale e vivibile, senza immondizia, ordinata e precisa, con la buona
abitudine della raccolta differenziata. Sarebbe cioè una città molto più appetibile
che adesso; su questo non nutro dubbio
alcuno (perdonatemi la presunzione). Certo, è verissimo, ci sono le tradizioni
culturali che un determinato territorio assume, sin dalle proprie origini,
quale modello e stile di vita, i modi di pensare. Tutto va bene, ma quanto
sopra detto, non giustifica la mancata ricercatezza del desiderio di evolversi,
di migliorarsi mantenendo i capisaldi della propria storia. Soprattutto,
nessuno vieta di amare e rispettare la propria città, come fosse il proprio
salotto. Le cose non vanno affatto in contraddizione. Se un bambino viene
educato alle buone maniere, sin dai primi anni della sua infanzia, avendo
precisi stereotipi, coerenti con il modo di agire, probabilmente assumerebbe un
atteggiamento di rispetto verso i propri simili e verso l’ambiente che lo
circonda. Insisto su questo punto, perché ritengo che una città si debba
presentare in un certo modo per poter attrarre investimenti da parte dei
privati. Le regole di un territorio, equivalgono a quelle di una persona che
per poter fare marketing veste bene, parla in un certo modo ed esprime dei
contenuti ben precisi. E secondo voi una città che non esprima civiltà,
rispetto per l’ambiente, cultura per la legalità, può essere appetibile all’esterno?
Bene, avete dato una risposta a voi stessi.
sabato 18 maggio 2013
FABBISOGNO E IMPIEGO DELLE RISORSE
L’occupazione si divide in due
tipologie: quella che serve a soddisfare le necessità di beni e servizi, e
quella che crea nuove necessità di beni e servizi. Analizzando l’attuale
situazione ci si rende conto come la necessità di beni sia notevolmente calata,
mentre al contrario, la necessità di servizi si sia notevolmente impennata. Di
certo il fabbisogno di: sanità e trasporti diventa sempre più crescente. Ciò è
dovuto a fattori quali l’invecchiamento e la freneticità della vita quotidiana.
Allora oggi parlare di consumi puntando ad una maggiore produzione sarebbe consumare
inutili risorse, andando ad intasare un mercato che non ha richieste. Se per le
materie prime e raffinate il discorso è diverso, nonostante il fabbisogno
petrolifero sia calato negli ultimi anni, risulta chiaro che occorra indirizzare
l’attività lavorativa o verso la creazione di risorse alternative (e quindi la
ricerca) per abbassare le importazioni o verso le esportazioni guardando al
fabbisogno globale, e quindi alla competitività. Altra strada il
soddisfacimento dei servizi interni, che vuol dire anche manutenzione delle
strutture portanti del Paese. Il fabbisogno collettivo è dato principalmente
dal bisogno di istruirsi, nutrirsi, vestirsi, dal tempo libero, a quello di
curarsi, di lavorare, di avere un mezzo di locomozione, ma soprattutto di avere
una propria abitazione. Oramai occorre ragionare in termini di priorità. Ebbene
quelle elencate prima lo sono tutte. Tutto il resto viene messo in secondo
piano. Come potete vedere il bisogno del singolo cittadino è dato in prevalenza
dai servizi: istruzione, sanità, mezzo di locomozione, tempo libero. Servizi
fondamentali che in Italia sono del tutto carenti. E se ad essi aggiungiamo la
burocrazia il quadro è completo. Con tutto ciò voglio dire che l’occupazione di
molte persone dovrebbe essere rivolta a queste tipologie di fabbisogno. In
questo quadro anche la manutenzione necessita di grande manodopera. Quando si
dice che non c’è lavoro, spesso non si guarda a dette necessità. Qualcuno dirà
che essi sono di pertinenza del servizio pubblico. Oltre tre milioni di
dipendenti pubblici che non riescono però a realizzare ciò che gli italiani
desiderano: servizi efficienti. Allora le strade sono due: o aumenta il numero
di dipendenti pubblici, oppure li si organizza in modo diverso. Per quanto
concerne il bisogno del singolo cittadino relativo ai beni ritengo sia
praticamente nullo, proprio perché le industrie sono in sovrapproduzione, ed è
per questo che licenziano. In questo caso allora bisogna guardare all’Estero.
Ecco perché il concetto di competitività si sposa a quello dell’innovazione e
della ricerca, e quindi, all’istruzione. In poche parole lo Stato dovrebbe
garantire i servizi ai cittadini, lasciando alle imprese la possibilità di
crescere e di competere nel mondo globale favorendole fortemente. Unioncamere
di recente ha denunciato un forte calo di domanda interna, ciò a riprova di
quanto sostenuto sopra. Si è vero che questo avviene anche per la mancanza di
liquidità da parte dei cittadini, ma non è detto che in caso contrario sarebbe
avvenuto lo stesso, eccezion fatta per il mercato mobiliare (in fortissimo
calo).
venerdì 17 maggio 2013
LA SCUOLA E IL LAVORO
La scuola dovrebbe rappresentare
il trampolino di lancio per il lavoro; lo strumento mediante il quale mettere
in pratica le proprie conoscenze. Proprio oggi riflettevo su come uno Stato
riesca a tagliare finanziamenti ad un apparato fondamentale per la crescita,
non solo culturale (e quindi astratta), ma pratica (il lavoro). Ci sono tre
fondamentali finalità per cui studiare e sono, a mio avviso le seguenti:
cultura personale, società, lavoro. Arricchire il proprio bagaglio culturale è
importante, così come è importante stare in mezzo ad una società che
quotidianamente scambia idee e pensieri. Ebbene l’istruzione serve, proprio a
materializzare i propri pensieri distribuendoli alla grande massa, così da
scambiare reciproche informazioni con le persone al fine di nutrire il proprio
sapere. Quindi, le prime due finalità sono strettamente correlate, per cui
indispensabili. Sono nel contempo flessibili e, quindi, modificabili a proprio
piacimento a differenza del lavoro. Si, perché la scuola serve anche a fornire
l’alunno di tutte quelle informazioni che servono per sviluppare al meglio la
futura attività. Invece si assiste ad una scuola che fornisce nozioni teoriche
e poco pratiche. Indirizzi scolastici rigidi che oramai risultano desueti, e
quindi obsoleti o ancora meglio inutili. A cosa serve studiare un indirizzo che
concretamente non viene richiesto nell’ambito lavorativo? A cosa serve avere
migliaia di avvocati che rimangono inoccupati? E allora? Esiste una risposta. L’idea
potrebbe essere quella che preveda l’accesso alla scuola media secondaria ponendo
l’alunno davanti ad una scelta che venga indirizzata dal fabbisogno, mediante
proiezioni a 5 anni, di quel momento in Italia ed in Europa. Per fare un
esempio. In un dato momento si prevede la necessità di ragionieri pari a X,
così come di geometri pari a Y e via via dicendo. Questo permetterebbe di
tracciare un obiettivo lavoro che possa avere un minimo di possibilità future.
Risulta chiaro che si tratta di un’operazione complicata e non infallibile, ma
potrebbe dare un’idea di praticità all’alunno. Basterebbe indirizzare degli
esperti verso questa tipologia di studi. La struttura scolastica attuale è
davvero pessima. Poca pratica, farcita da tanta teoria, non serve a formare un
bravo dipendente oppure un bravo operaio. Occorre riformare seriamente la
scuola adeguandola agli standard europei di eccellenza. Le Università italiane
non rientrano neppure nei primi trenta posti delle graduatorie di qualità
internazionali e questo non può essere ritenuto accettabile da un Paese che si fa
scudo del famoso “made in Italy”. Eccellenza nella fantasia e nella creatività
innata da parte degli italiani, ma poca fantasia e praticità da parte di chi
gli italiani governa.
giovedì 16 maggio 2013
LA CRISI E IL PIL
Il Pil, dato dall’insieme di beni
e servizi prodotto da un Paese in un determinato periodo rappresenta lo stato
di salute di un territorio. Economisti qualificati sostengono che il lavoro non
sia in stretta correlazione con la variazione periodica dello stesso. Cioè,
dichiarano, al contrario, che se il PIL cresce aumenta la disoccupazione e
viceversa. Tale affermazione può essere opinabile, anche se esistono tratti di
verità. Negli anni ottanta l’Italia era in buona salute, ancora prima negli
anni settanta. Il benessere si tastava con mano, e la disoccupazione si
attestava su valori accettabili, ovvero tra il 6-7%. In tale periodo la forbice
disoccupazione-PIL non era ampia. Oggi assistiamo ad una costante decrescita
del PIL e ad un aumento costante della disoccupazione. Negli ultimi cinque anni
la disoccupazione è quasi raddoppiata, passando dal 7 al 12,5% (dati riferiti
al mese di marzo 2013). Gli ultimi dati ufficiali parlano di una decrescita del
PIL pari allo 0,5%, con una proiezione annua pari al 2,3% di PIL negativo
previsto per l’anno 2013. Valori nettamente contrastanti con le previsioni
degli economisti più accreditati. Da questo quadro si intuisce come l’Italia,
che non registra una crescita da 7 mesi consecutivi, sia sull’orlo del baratro.
I consumi si sono ridotti drasticamente, così come le esportazioni che, solo
negli ultimi mesi, registrano un minimo di ripresa. L’uso del petrolio è
diminuito drasticamente, così come il comparto delle telecomunicazioni che
registra una flessione significativa soprattutto nella vendita dei cellulari.
Le proiezioni sul 2014, periodo in cui si prevede una ripresa, a seguito degli
ultimi dati si mettono, quindi, in discussione. La flessione sul PIL si
registra anche in Germania (quinto Paese al mondo per volume di PIL), la quale
segna il passo con una crescita, nel primo trimestre 2013, pari soltanto allo
0,1%. Ciò comporta, da parte delle Merkel, una rivisitazione delle strategie di
politica economica internazionale. La politica del rigore non paga più. La
Germania, vive anche di esportazioni e non credo sia suo interesse non trovare più
Paesi che acquistino i prodotti tedeschi. L’effetto sarebbe devastante. La
produzione industriale calerebbe drasticamente, oppure l’invenduto
costringerebbe le industrie a tagliare sul personale. A mio avviso, quindi, per
ridare slancio alle economie europee, occorrerebbe non scendere a patti con l’apparato
finanziario, che detta le linee guida, bensì sarebbe necessario creare un nuovo
fabbisogno guardando all’economia reale. Per quanto concerne il lavoro, esso
andrebbe localizzato ed isolato dal potere centrale. Esso dovrebbe essere di
pertinenza esclusiva dei singoli comuni.
mercoledì 15 maggio 2013
PROPOSTA DI OCCUPAZIONE (LINEE GUIDA)
La disoccupazione a Messina (e non solo) è arrivata oramai a
livelli esasperati. La proposta di un reddito di cittadinanza potrebbe, in
parte, alleviare il presente di molti giovani che non trovano alternativa
alcuna allo status di cui sono vittima. Una proposta che potrebbe ridare nuova
linfa, quella di coinvolgere i ragazzi nell’assolvimento di un determinato
compito da predeterminare a propria
scelta sulla scorta di indicazioni che il Comune stesso si incaricherebbe di
proporre. Per esempio: l’assolvimento di compiti di protezione civile, la
pulizia delle spiagge, la pulizia dei binari del tram e zone attigue; oppure la
cancellazione di murales che storpiano palazzi storici, o lo sfoltimento
dell’erba cresciuta in eccesso (quindi compiti di giardinaggio). Da premettere
che il tipo di servizio, quanto le zone di pertinenza non andrebbero in
“conflitto” con i compiti di ordinaria amministrazione, e quindi, non
intaccherebbero il lavoro dei dipendenti pubblici addetti a tali operazioni. Si
tratta quindi di compiti supplementari di natura straordinaria. Dal punto di
vista pratico come funzionerebbe? Il Comune farebbe riferimento alle liste
aggiornate provenienti dall’Ufficio Provinciale del Lavoro e della Massima
Occupazione. Detto ufficio provvederebbe ad organizzare degli incontri durante
i quali distribuirebbe appositi moduli ai disoccupati che andrebbero a
selezionare le opzioni per cui si rendono disponibili a lavorare (tra quelle
precedentemente indicate ad esempio). I disoccupati andrebbero a scegliere ora
e durata del servizio che si impegnano a prestare. Alla fine del mese verrebbe
redatta una sorta di classifica a punti basata sul numero di ore effettivamente
svolte attribuendo un punteggio di merito; ciò affinché si possa dare una
ricompensa in denaro da distribuire in modo inversamente proporzionale, ovvero
maggiore punteggio, maggiore compenso. Nessuno comunque verrebbe estromesso. Un
sistema totalmente meritocratico basato anche sulla difficoltà del lavoro
svolto che costituirebbe un’ulteriore parametro per l’attribuzione del
punteggio finale realizzato. Tale somma andrebbe comunque sommata al reddito di
cittadinanza, costituendo uno stipendio vero e proprio. Il Comune, per esempio,
potrebbe dirottare delle somme racimolate mediante accordi con privati
(direttamente interessati dai lavori dei disoccupati). Naturalmente verrebbero
costituiti controlli a campione, periodici, imprevisti ed imprevedibili, anche
per scoraggiare tutti coloro i quali vorrebbero fare i furbetti. E’ chiaro che la
proposta va corredata e dettagliata, ma ritengo che molti prenderebbero con
entusiasmo una proposta del genere. Si sentirebbero utili alla società, a se
stessi e alla famiglia, ma soprattutto si toglierebbero dallo stato di
disoccupazione e/o inoccupazione.
martedì 14 maggio 2013
ITALIA FONDATA...
Questo blog nasce dall'esigenza di rappresentare le numerose ferite di coloro i quali hanno assistito impotenti (del resto non avevano alternative) alla perdita del posto di lavoro. La società attuale si dichiara inorridita, sgomenta, terrorizzata, alterata davanti ai numerosi gesti di suicidio. Da premettere che non concordo con coloro i quali compiono l'ultimo gesto togliendosi la vita. Sono dell'avviso che occorra lottare per avere il rispetto di un diritto sancito dall'art. 1 della Costituzione. Articolo talmente noto ed "obsoleto" che sembra quasi non esistere più. In effetti poco, molto poco, anzi direi nulla è stato fatto per la tutela di un "rapporto" dignità-essere umano. E allora tutto ciò avviene nel rispetto della Costituzione? Assolutamente no. La tanto amata e decantata "Legge Prima" viene vituperata sin dalle sue fondamenta. L'impalcatura scricchiola, perché lavorare oramai è diventato un lusso; figuriamoci svolgere un'attività lavorativa di proprio gradimento. Politici che hanno anche il "coraggio" di assistere ai funerali di chi ha cancellato la propria sofferenza in nome del lavoro, di chi ha urlato in silenzio per il rispetto della propria dignità. Ebbene questi politici blaterano utilizzando termini astratti; faremo, vedremo, stiamo pensando. E mentre loro pensano, in media una persona al giorno dice addio al mondo; lo fa in punta di piedi delusa dal sistema di cose. Una persona realmente dispiaciuta e in una posizione privilegiata, ma soprattutto di potere davanti ad una strage continuata senza fine agirebbe gridando: "adesso basta!" Un basta che sia però formalizzato dai fatti e non dalle chiacchiere da bar. Provvedimenti seri! Questo chiedono gli oltre tre milioni di disoccupati. Tra loro anche gli inoccupati, persone cioè che il lavoro non l'hanno mai visto, neppure al binocolo. Ma vado oltre. La soluzione ai mali? Finanziamenti, investimenti, organizzazione delle risorse, riorganizzazione di quelle esistenti. Lo Stato è in dovere di dare una risposta concreta, di dare lavoro, di creare il bisogno di forza lavoro, prima che l'articolo n. 1 della Costituzione si trasformi nel seguente: "L'Italia è una Repubblica fondata sul non lavoro e sulla disoccupazione cronica".
sabato 4 maggio 2013
Comunicatori alla ricerca di lavoro
Il 20% dei romani
sogna l’ufficio stampa, il 17% dei milanesi l’agenzia di pubblicità
Specializzarsi
nel settore della comunicazione significa poter lavorare in ambiti differenti:
si va dal lavoro nelle agenzie di pubblicità, ai media, passando per il web e
le case editrici. Ma qual è il settore in cui c’è maggiore richiesta di lavoro
da parte dei comunicatori? Secondo un’indagine di LavoroComunicazione.it, portale
specializzato nella ricerca di lavoro, la maggior parte delle ricerche avviene in
ambito radiofonico e televisivo.
Ogni mese sul web la parola chiave “lavoro
radio” viene cercata ben 6.000 volte, seguita da “lavoro tv” che conta 3.600
ricerche mensili. Buona richiesta anche per un impiego in casa editrice o negli
uffici stampa che contano rispettivamente 2900 ricerche mensili. A leggera
distanza troviamo “lavoro redazione” che conta 2400 ricerche mensili. Più di
nicchia invece il lavoro nelle agenzie pubblicitarie ricercato 480 volte al
mese e quello nelle agenzie web (390 ricerche).
La città
in cui si sgomita di più per cercare lavoro nel campo della comunicazione è la
Capitale: ogni mese “lavoro comunicazione Roma” viene digitato 1600 volte sui
motori di ricerca. Mentre l’altra grande metropoli, Milano, registra 1000
ricerche.
A
Roma il 20% delle domande è nel settore degli uffici stampa, il 17% nelle
agenzie pubblicitarie, il 16% in tv, il 13% in casa editrice, il 12,7% in
radio, il 12,1% in redazione e il 9,2% nelle web agency. Nel capoluogo
lombardo, invece, il 20% cerca lavoro negli uffici stampa, il 17% nelle agenzie
pubblicitarie, il 14% in radio, il 14% nelle case editrici, il 13% in tv, il
12,5% in redazione e il 10,5% nelle web
agency.
Ma
quali sono le aziende più cliccate, in cui i comunicatori sperano di lavorare?
Secondo lo staff di LavoroComunicazione.it i milanesi aspirano ad un posto a
Radio Deejay oppure Rtl 102.5, mentre a Roma si preferisce Radio Dimensione
Suono o le case editrici Einaudi e Treccani.
“Molti
giovani laureati nel settore della comunicazione entrano nel mondo del lavoro
con uno stage. Sul web, negli ultimi anni, hanno subito una vera e propria
impennata di ricerche gli stage in comunicazione e in marketing” commenta lo
staff di LavoroComunicazione.it
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