mercoledì 11 aprile 2018
Computo dei contributi previdenziali versati
Senonlavoro è anche un sito di proposte. In questi mesi ne ho formulate diverse. Oggi voglio puntare la mia attenzione sui contributi previdenziali con una soluzione che ritengo equa e legittima.
Ieri sera ho avuto modo di ascoltare la Fornero esprimere la sua in merito ai contributi previdenziali minimi necessari affinché un lavoratore possa andare in pensione, entrando nel merito di calcoli e periodi. L’ex Ministro del lavoro e delle politiche sociali faceva, inoltre, una sottile disquisizione riguardo alla differenza tra previdenza ed assistenza pubblica. Un conto è la pensione derivante dai contributi versati, e cioè, quanto il lavoratore ha messo da parte nel corso della propria vita lavorativa, da destinargli successivamente in fase pensionistica, un conto è l’aiuto che lo Stato stesso concede a coloro i quali non hanno maturato alcun contributo utile alla pensione o che non hanno maturato contributi sufficienti al raggiungimento della pensione minima. Mi riferisco, ovviamente, alla concessione dell’assegno sociale dato a tutti i cittadini in stato di povertà o, quantomeno, senza un minimo sussidio, al raggiungimento dell’età pensionabile. Ritengo che il distinguo sia del tutto inutile ai fini pratici, poiché in ogni caso sono soldi dello Stato, o meglio di tutti i contribuenti. Cioè, in fin dei conti qualunque sia la situazione ai fini contributivi viene comunque garantito un importo minimo di sostentamento pari ad euro 448,07 per 13 mesi a partire dai 66 anni e 7 mesi di età (finestra 2018).
Questa premessa per fare una mia personale considerazione legata a quella quantità smisurata di contributi versati dal lavoratore e dalle rispettive aziende di assunzione che rimane sospesa nel limbo, poiché insufficiente ai fini del raggiungimento della pensione minima. Parlo, ovviamente, degli esodati, ma non solo. Mi riferisco anche a tutti coloro i quali da precari hanno versato per più anni, ad esempio, dei contributi nella gestione separata (lavoratori Parasubordinati) perdendone nel tempo la titolarità.
Detti contributi, infatti, non verranno destinati al lavoratore titolare degli stessi (tranne per coloro i quali avranno maturato il diritto alla disoccupazione), ma inseriti in un calderone di contributi da destinare a tutti i lavoratori che hanno regolarmente acquisito la pensione.
La mia proposta, è invece quella di concedere tutti quegli anni di contributi giustamente versati fino al termine dell’età lavorativa in aggiunta all’assegno sociale.
Se per esempio il lavoratore Tizio che ha 66 anni e 7 mesi ha maturato nell’intero periodo lavorativo 8 anni di contributi previdenziali, l’intero importo o quantomeno una frazione di esso, andrebbe sommato all’assegno sociale secondo le modalità di seguito esposte, considerando un’aspettativa di vita per l’uomo pari a 80 anni (dati Istat 2017).
Euro 16,600,00 pari ai contributi previdenziali risultati nella posizione del lavoratore.
Aspettativa di vita (80) – 66,7 = 13,3 (anni stimati di sopravvivenza).
Per cui il lavoratore annualmente percepirà una quattordicesima, o se già spettante, sarà sommata ad essa, una cifra pari a (16,600,00 / 13) corrispondente ad euro 1276,00 annui. In alternativa, il lavoratore potrà scegliere di dividere la somma annua spettante (euro 1276,00) frazionandola in 13 mesi, passando, quindi da euro 448,07 a euro 546,22 netti mensili.
Così facendo si otterrebbe una sorta di giustizia sociale computando a chi ha versato il dovuto.
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