Una nuova alba plumbea piombò sui cieli di Roma. Il tumulto era nell’aria. Il 15 ottobre era arrivato. Sin dall’alba mi ero premurato per uscire, certo che quel giorno sarebbe stato speciale, importante. La tensione si avvertiva dalla sera prima. Non riuscivo a dormire. Una serie di mezzi pubblici mi attendeva, ed io trepidante aspettavo di cogliere i visi di coloro che, avrebbero rappresentato i miei compagni di viaggio. Molti di loro, ignari, di cosa sarebbe successo di li a poco, traspiravano il consueto viso crucciato. Il solito tram tram quotidiano si era dissolto. Era sabato ma le preoccupazioni ed i drammi emergevano come e più di prima. Le tv, le radio ed i giornali non facevano che sputacchiare qua e la le solite notizie depressive e, nella maggior parte, inutili. Non riuscivo a comprendere, come mai, non abbiano ancora intrapreso una strada diversa. I politici sempre in primo piano. Non riescono a capire che alle persone, ben poco importa se un politico compie un viaggio all’Estero o se sbraita contro un “rivale” dell’opposto schieramento. Le cavolate di Bossi, il disfattismo, le divisioni geografiche. Tutto questo è aria fritta.
Nel pensare mi guardavo intorno. Il sole tardava a venire. Fra me e me pensavo: “vuoi vedere che oggi piove?, e se così fosse potrebbe essere il segno del destino? “. Io francamente speravo facesse bel tempo, ma nelle tragedie, nelle giornate importanti e drammatiche, sembra che tutto intorno, si crei una sorta di atmosfera di presagio. Il trenino nel frattempo andava sui soliti binari usurati dal tempo. Ogni tanto un sussulto mi portava alla realtà. Già la realtà che stavo vivendo. Per un solo istante sentivo che le attenzioni si spostavano sui miei gesti, sulle moine, e sui dialoghi solitari. Qualcuno mi puntava addosso i suoi occhi e sembrava annuire. Ho provato a leggerli: “credici, è possibile”, altri dai volti imperturbabili mi circondavano: “chissà quanti di loro scenderanno in piazza stamane?” mi chiedevo; me lo chiedevo continuamente. Immaginavo una Roma sovrappopolata. Gente proveniente da ogni luogo, anche quello più remoto. Provavo una profonda ammirazione per coloro che, da soli e a loro spese, si erano presi la briga di macinare centinaia di chilometri, senza sapere cosa ne sarebbe stato di loro e cosa avrebbero ricavato da quella giornata tanto agognata ed attesa. “Ammirevole!, semplicemente ammirevole”. E mentre mi gongolavo per un successo sperato, ma aleatorio, immaginavo il caos nelle piazze, le urla degli incazzatos. Operai, impiegati, gente del ceto medio pronta a dire la propria e, soprattutto, ad esternarla. Tutti insieme per un unico obiettivo. “Ma un attimo… e quelli ricchi? I ricchi da che parte stanno? cosa faranno o penseranno oggi?” La risposta la conoscevo già. “E i sindacati?, i gruppi pacifisti?” Beh la risposta in questo caso non la conoscevo. “Allora quanti saremo oggi?”, domanda inutile; avrei dovuto attendere molto poco per saperlo, anche se l’orologio segnava ancora le sette.
Ore 08:00
Al secondo mezzo pubblico consecutivo il mio cuore pulsava forte. Un leggero timore ogni tanto infilzava la mia mente: “spero proprio che non si verifichi qualcosa di grave e, soprattutto, nessuno si faccia male”. La paura che, innocenti, potessero subire dei danni fisici, a volte, mi tormentava: “non sarebbe giusto! Sommare oltre al danno la beffa”. Un popolo martoriato da molti anni, a crescita zero, che conosce la fame, che quando si alza la mattina e apre il frigorifero lo trova miseramente vuoto, che non sa come fare colazione. “Oggi che mangeranno i miei figli?”. Mi mettevo nei panni di chi deve sfamare oltre la propria altre 2, 3, 4, 5 o più bocche. “Ma si! va a rubare che tanto è lecito quando un governo non ti aiuta.” e, nei nuovi provvedimenti, ha in mente di mandare in panchina parecchi anziani e indigenti, pensavo. “Tanto i politici rubano da decenni, con la differenza che non ne hanno alcuna necessità di farlo; un padre di famiglia si però.
La mia mente elaborava, elaborava, elaborava di continuo.
Pensava che tutto questo era incredibile!.
Ore 08:10
Giunto a Termini, crocevia per passeggeri locali e fuori porta, mi sedetti su di una panchina. Treni che arrivavano, mentre altri partivano. La voce dello speaker della stazione annunciava frenetica gli orari di partenza e le variazioni in tema di binari. Il solito via vai di uomini di affari con la 24 ore andava a prendere una brioche ed un caldo caffè. Il tintinnio di bicchieri e cucchiaini era di famiglia; tipico dei bar affollati, distanti decine di metri da cui poco prima sbirciavo quasi rammaricato: “invidio queste persone che possono permettersi tutti i giorni un caffè ed una brioche”.
Giù sulla panchina trepidavo e mi chiedevo come riconoscere i primi arrivi di indignati. Del tutto impossibile farlo: “mica è una partita di calcio che riconosci sciarpe e gli strombettii dei più caldi”. Allora, mi concentravo nell’immaginare le piazze piene che la gente non cammina. Dove la sudata è di rito, così come la puzza di ascelle: “meglio, ciò vuol dire che siamo in tanti”.
“Chissà se Walter sarà puntuale!”, mi chiedevo.
Ore 10:00
Il corteo muove i primi passi, si popola sempre più. Automobilisti incavolati e dal clacson facile compiono manovre nevrotiche con il rischio di commettere qualche imprudenza. “Cosa aspettano a lasciare il loro catorcio e ad unirsi a noi?”. “Piuttosto che suonare all’impazzata unitevi a noi!”, gridavo all’impazzata. “Macché questi se ne f….. “. Avrei preso ognuno di loro per il bavero e trascinato per strada con l’obiettivo della piazza. Tutti, ma proprio tutti: postini, barboni, baristi, taxisti. Chiunque mi capitasse sottomano.
La gente, intanto, si popolava di vocii qua e la e si popolava di nuovi arrivati. “Dove andiamo?: Piazza San Giovanni o Monte Citorio?”, alcuni chiedevano. L’indecisione regnava. Fino a pochi giorni prima mi ero lamentato perché, a mio avviso, andava stilato un programma ben preciso, proprio per non lasciare impreparati i manifestanti. Io, per mio conto, mi consultavo con Walter. Sapevo già che sarebbe stato costruttivo e valido il progetto comune.
Ore 11:00
… sta a tutti noi scrivere il seguito della giornata. Un diario che va assolutamente ultimato, raccontato, ma soprattutto vissuto.
TUTTI INSIEME IL 15 OTTOBRE PER DIMOSTRARE IL NOSTRO DISAPPUNTO AL MONDO INTERO. FACCIAMO SI CHE L’ITALIA, PER UNA VOLTA, VENGA CONSIDERATA TERRA DI UN POPOLO UNITO E COESO. UN POPOLO STANCO DI DISPREGIATIVI COMMINATI DAGLI STRANIERI. UN POPOLO DERISO ED UMILIATO, AL QUALE SI ATTENTA LA PROPRIA DIGNITA’. E’ ORA DI DIRE BASTA!.
Salvatore Castorina